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Diritto Costituzionale


Riserva di Legge – Decreto legge

La riserva di legge ha previsto modifiche nel corso della storia. Il parlamento, nei sistemi liberali, ha sempre più acquistato potere dal punto di vista esecutivo e dal piano della riserva di legge. La disciplina di determinate materie viene data dal PALRAMENTO, e la legge del parlamento viene vista come leggi ordinaria.
La riserva di legge è una garanzia per la tutela dei diritti. Il governo può intervenire nella legislazione attraverso delega legislativa. Tale procedimento rientra nel sistema delle fonti, ma si vuole escludere la disciplina dei regolamenti del governo, in quanto fonti secondarie: adunanze pubbliche.
L’art. 75 dice che il referendum può riguardare leggi o atti con forza di legge, e non leggi secondarie. Il referendum nel nostro sistema non può riguardare leggi secondarie, ma solo ordinarie: non i regolamenti parlamentari o del governo. La legge ha la forza di modificare un regime giuridico, ove vi è sottoposizione della legge al regime giuridico. Inoltre vi è sottoposizione al sindacato della legittimità costituzionale.
Il costituente ha voluto che sia la legge a disciplinare il sistema, e sia sindacata dalla corte costituzionale per inosservanza della costituzione, e sia sottoponibile a referendum popolare.
Le costituzioni rigide costituiscono un importantissimo passo avanti per la tutela dei diritti, a differenza di quelle elastiche e pericolose.
Il decreto legge deve essere convertito con atto di legge formale, in quanto gli effetti devono essere stabilizzati nel sistema poiché il d.l. è temporaneo e d’emergenza. Se non vi è la conversione il d.l. perde validità, e non si può reiterare un d.l.
Non può il governo reiterare il contenuto di un d.l. poco prima della scadenza poiché ciò va a trasformare il carattere meramente provvisorio del d.l.
Il rinnovo del d.l. prima della scadenza indica un evidente vulnus tra la separazione dei poteri, e la legge è l’unica fonte a saldare un d.l.
Necessita quindi a tal proposito un atto con forza di legge.
Precedentemente la riserve di legge aveva un ruolo politico-parlamentare differente al piano regolamentare che manifesta adesso; la fonte primaria gode di quella posizione che non godono i regolamenti i quali non sono sindacabili e non sono soggetti a referendum. Con il d.lgs. vi è un fenomeno del tutto diverso.
La riserve di legge può essere soddisfatta attraverso leggi di rango costituzionale; la funzione è più complessa perché va ad intercettare interessi dei pubblici poteri. L’organizzazione dei pubblici poteri attiene alla materia costituzionale, la quale si occupa della struttura e della disciplina dell’apparato statale. La disciplina che necessiti di una legge di revisione è una legge di sostituzione.
L’art. 116 prevede che taluni statuti regionali sia disciplinati da legge costituzionale.
L’art. 71 prevede altri organi ai quali la legge costituzionale concede facoltà di proposta legislativa. In alcuni sistemi anche il capo di stato ha potere di competenza legislativa, nel nostro sistema no!
L’art. 137 prevede che una legge costituzionale stabilisce i termini di legittimità costituzionale e i caratteri d’indipendenza dell’operato della corte costituzionale.
Il costituente non aveva ancora in mente le modalità attraverso le quali dovesse funzionare il criterio di sindacato costituzionale: quando la Corte dichiara illegittima una legge questa perde validità dal giorno della pubblicazione perdendo efficacia, e vi è la caducazione (norma di legge o atto, non regolamento).
Il costituente sapeva che vi sarebbe stata la necessità di valutare la costituzionalità di talune leggi ordinarie.
Le leggi 1/48 e 1/53 sono le fondamentali per valutare il principio di validità.
Il principio di legalità guarda al primato della legge come limite nell’esercizio dei poteri costituzionali; o perché la legge sia meramente attributrice di competenze, o perché le legge contiene un contenuto sostanziale di legalità, la dove la legge interviene per disciplinare parte di quella materia. Non è sufficiente che la legge determini la sola competenza, è necessario altro. Emblematico è l’art. 3 della costituzione il quale è strettamente legato con il servizio militare: art 52 comma 1 (difesa della patria).
Il pagamento di un’imposta non può essere dovuto non vi sia una norma, ed appartiene al principio di legalità anche al vincolo del giudice che è soggetto solo alla legge.
Il principio di legalità ha una supremazia sul piano di esercizio di competenze; quindi la riserva di legge agisce strettamente al principio di legalità (i mostri della legge).
Sia riserva di legge che principio di legalità intercettano miriadi di elementi di diritto pubblico; vi sono poi dei casi di riserva di legge che vengono interpretata relativa o assoluta. Assoluta è quando il regolamento del governo non trova spazio in quanto la legge compre per intero tutto il campo di competenza.
La legge debba disciplinare solo gli elementi fondamentali di quella materia (a differenza dell’ordinamento francese).
Il nostro sistema non prevede degli ambiti in cui il governo deve intervenire anche le camere; non si prevede nessuna riserva di regolamento, a differenza del sistema della repubblica delle autonomie in cui le regioni possono legiferare. In una competenza di materie tra stato e regioni non si può prevedere riparto tra legislativo ed esecutivo statale.
E’ vero che nella nostra costituzione non vi sia riserva di regolamento, ma la garanzia sta nella previsione che il legislatore po’ limitarsi a disciplinare solo gli elementi fondamentali della materia. In base alla disciplina il governo può intervenire con vario tipo di regolamenti in base allo spazio lasciato libero dal legislatore.
La riserva relativa necessaria è quella che deve essere necessariamente relativa: il legislatore deve limitarsi alle norme di principio, non può invadere una parte della materia poiché questa è riservata alla disciplina di particolari organi od enti; è cosa ben diversa dalla riserva relativa. In questo caso il legislatore resta vincolato, in quanto nella nostra costituzione si interviene attraverso le riserve necessariamente relative per lasciare spazio di autonomia ed il legislatore non può andare oltre su quello spazio di autonomia costituzionalmente garantita e tutelata.
L’autonomia universitaria è disciplinata dall’art. 33, il quale dice che le istituzioni di alta cultura, università ed accademie possono darsi propri ordinamenti nei limiti stabiliti dello stato; ciò è stato previsto per evitare l’intervento regolamentare del governo: tutela dei diritti in quanto c’è una certa sfiducia nei confronti del governo. Si preferisce l’intervento della fonte e non quello del governo. Il costituente ha previsto ciò, preoccupandosi del governo, per evitare soggezione al governo e dare libertà organizzativa agli amministratori delle stesse istituzioni.
L’autonomia sta nella garanzia degli spazi di libertà nei limiti stabiliti dalle legge.
La costituzione dice che in talune materie la regione può legiferare entro i limiti di una stessa legge dello stato: si vuole garantire una certa autonomia. Questa autonomia è talmente flessibile che esiste un muro di gomma.
La corte dei conti è un organo di controllo contabile e questo atteggiamento pone dei profili rilevanti che vanno posti alla luce del sistema. Si vuole evitare che il governo possa interagire con la sua natura politica con le autonomie delle università. Lo stato quando detta i principi di disciplina non può dettare l’intera materia.
L’art. 77 della Costituzione prevede che il governo adotta il decreto legge sotto la propria responsabilità e la disciplina dice che i decreti perdono efficacia retroattivamente se non sono convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Il decreto legge è un atto lecito previsto in Costituzione, ma può divenire illecito comportando conseguenze sul piano giuridico. Il governo ha una responsabilità politica e qualora non trova una maggioranza che ammetta il decreto legge può cadere in crisi. Il voto contrario di una delle camere non comporta l’obbligo delle dimissioni (art. 94 Cost.), a meno che sulla legge di conversione il governo abbia posto la questione di fiducia, e se viene battuto su tale questione deve dimettersi. E’ una responsabilità politica che il governo incassa e va stimata sul piano politico. L’art. 77 prevede all’ultimo comma che il governo si espone a responsabilità anche di tipo giuridico e non solo qualche scricchiolio politico con la maggioranza parlamentare. Nel caso di mancata conversione i decreti perdono efficacia sin dall’inizio (retroattività), ma può fare salvi gli effetti giuridici sorti pur non attribuendo nel tempo efficacia. Per poter adottare un decreto legge necessitano casi di straordinaria necessità ed urgenza. Il Parlamento, anche quando non sussistevano queste necessità, ha ritenuto ben operato il governo se converte il decreto. La Corte Costituzionale è intervenuta su i prerequisiti con sen. 29/1995, relativamente alla validità delle necessità. Con la sen. 360/1996 è stata dichiarata illecita la prassi della reiterazione dei decreti non convertiti.

Formazione della Legge

La formazine della legge concerne l'intera formazione della legge di rango primario, invece l'approvazione è la fase fondamentale. L'art 72 si chiude con una previsione che va definita: la procedura normale d'esame è sempre utilizzata per i disegni di legge che tanto che si parla di riserva d'assemblea. Si tratta di leggi di notevole rilievo dia sul piano costituzionale, sia sul piano politico, si tratta di discipline che impegnano tanto ed interamente il nostro paese. Il costituente vuole che tale disciplina sia approvata con legge non con il procedimento decentrato (in commissione). Vi è dunque il plenum, la riserva d'assemblea. La materia costituzionale prevede tanto la revisione che l'approvazione di nuova disciplina. Si è molto discusso sul ruolo di questa previsione: ci son materie come quella elettorale che concernono il cuore della materia costituzionale anche se il costituente non ha voluto costituzionalizzare tale materia ponendo un vincolo. Nella costituzione di Weimar si prevedeva un sistema proporzionale, invece il nostro costituente ha preferito non ingessare le forze politiche, permettendo al legislatore qualsiasi sistema elettorale, ma sei il legislatore disegna una nuova disciplina elettorale questa deve essere approvata come una legge ordinaria, e non come una disciplina costituzionale. In assemblea le commissioni possono far sentire meglio la loro voce. La disciplina delle libertà è materia costituzionale, così anche la cittadinanza, la disciplina legislativa del funzionamento di organi come il consiglio superiore della magistratura (CSM organo di rango costituzionale). Il senso dell'ultimo comma dell'art. 72 dice che il procedimento di approvazione della legge ha rilievo sul piano costituzionale della legge.
L'orientamento verte in dipendenza dall'art. 138 della costituzione il quale prevede leggi costituzionale a livello formale; invece l'art. 72 parla della materia quindi sostanzialmente costituzionali. La legge sul CSM è stata una legge non approvata col procedimento necessario e la corte costituzionale disse che la legge costitutiva del CSM non poteva essere illegittima poiché si sarebbe privato un organo dalle sue funzioni.
La tesi è che non bisogna accogliere un concetto lato e ampio di materia costituzionale ma bisogna vedere se la costituzione nel testo rinvia a discipline di materia, che non sarebbero quelle formalmente costituzionali, ma quelle richiamate come materiali. L'art. 137 prevede da una parte una legge costituzionale, invece dall'altra parte prevede che con legge ordinarie vengano disciplinate le altre mansioni della corte. Questa sarebbe una legge in materia costituzionale come quella prevista in materia di ordinamento giudiziario. La legge provvede all'organizzazione della presidenza del consiglio e quella dei vari ministri in quanto organi costituzionali.
L'art. 138 dice che il procedimento o l'approvazione di leggi costituzionali deve avvenire mediante doppia deliberazione di entrambe le camere e la garanzia sta nel procedimento e viene detto dall'art. 72 non si vuole che sia approvata in commissione ma in plenum. Le leggi costituzionali sono approvate con maggioranza assoluta almeno nella seconda votazione che è a distanza non superiore di tre mesi dalla precedente deliberazione. In realtà una parte del procedimento di approvazioni di queste leggi è dettata dall'art 138. L'art 72 comma 4 centra nella prima delibera delle camere. La corte costituzionale voleva salvare da una facile accusa di illegittimità la legge sul CSM in quanto approvata in commissione e non dal plenum. Esistono leggi ordinarie in materia costituzionale e sono ricavate dal testo medesimo della costituzione in modo da non potersi dire che non vi siano leggi che non siano in attuazione dei principi costituzionali, si pensi a tutte le leggi in materia di libertà. Il completamento della disciplina, e non la mera riserva di legge, è necessaria per completare la disciplina costituzionale di un istituto.
Il procedimento ordinario deve essere seguito anche per le leggi di delegazione legislativa, il parlamento (legislativo) delega al governo (esecutivo) l'attività legislativa, previa legge di delegazione camerale. La legge di autorizzazione di trattati internazionali consiste nel permesso del governo di contrattare con gli altri paesi poiché lo stato si obbliga in ambito internazionale: le relazioni sono internazionali e l'ordinamento (pluralista) ha proprie fonti normative. I rapporti fra gli stati sono di vario tipo: diplomatici, che danno nascita a consuetudini ed accordi ai quali gli stati stessi si sottopongono, il comportamento consuetudinario diventa norma e viene sentita obbligatoria della comunità internazionale e costa di due fonti (consuetudinaria di principi cogenti come le ambasciate; dei trattati internazionali). La ratifica dei trattati più importanti (compiuta dal P.R.) necessita di una legge particolare di autorizzazione disciplinata dall'art. 80: si autorizza la ratifica di trattati internazionali relativamente a politica, geografia, regolamenti penali, etc. Per alcuni trattati di più rilevante peso politico (come una modifica del territorio e variazioni varie) e che importino oneri alle finanze, si pone il problema della loro capacità di introduzione in Italia penetrando nell'ordinamento tanto da obbligare gli organi dello stato. Non bisogna confondere l'ordinemto internazionale con l'ordinamento comunitario come l'ordinamento statale, etc.
Sinagra sostiene che l'ordinamento comunitario non esiste in quanto non esiste un terzo rispetto all'ordinamento nazionale e sovranazionale. Ogni ordinamento ha la propria disposizione ( noi l'art 11) che rimanda ad un ordinamento internazionale; le norme internazionali non vanno confuse con quelle comunitarie. Le norme dell'ordinamento internazionale sono solo due: patti e consuetudini. I regolamenti sono parte dell'ordinamento comunitario obbligando i soli 27 stati de'Europa. Le leggi di autorizzazione alla ratifica autorizzano il governo a prendere accordi con la comunità internazionale.
Le leggi che approvano il bilancio (da non confondere con le leggi finanziarie) sono leggi di autorizzazione in cui il parlamento autorizza il governo a spendere approvando le leggi di spesa e le leggi tributarie di attribuzione d'imposte. In base all'art.81 non possono essere autorizzate nuove leggi tributarie e di spesa in quanto bisogna utilizzare le leggi esistenti; saranno le leggi finanziarie ad occuparsi delle leggi tributarie e di spesa.

Legge

La costituzione determina le fonti ed impedisce che fonti concorrenziali alle leggi fondamentali possano creare problemi di competenze. Dall’entrata in vigore della Costituzione la disciplina delle fonti di rango primario erano a numero chiuso (tipicità delle fonti). La forza di legge è la capacità di una legge di innovare l’ordinamento con la medesima forza che possiede l’atto legislativo dal lato attivo, e resistere all’abrogazione di fonti sotto ordinate alla legge. Gli atti con forza di legge pur non avendo la forma della legge hanno la medesima efficacia della legge e dunque bisogna chiamare in causa una serie di atti che si riferiscono in primo luogo alla potestà normativa del governo. Il governo esercita potestà normativa che talvolta si colloca nel sistema delle fonti a livello primario con norme contenute in atti fondamentalmente normativi ed amministrativi; il governo può creare norme a livello primario o talvolta secondario. Tutti gli ordinamenti di democrazia pluralista non posso fondarsi su un solo ed unico tipo di fonte perché anche il governo e non solo il parlamento può produrre norme giuridiche, è prevista un’autonomia degli enti territoriali con facoltà statutivi con potestà normativa. Il nostro sistema non può fondarsi su un solo tipo di fonte in quanto ci sarebbe da verificare risolvendo le antinomie con il criterio della fonte più recente che abroga con le disposizioni in contrasto la fonte precedente. L’Art. 15 delle preleggi prevede che le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per volontà del legislatore, per difformità con nuove leggi o perché le nuove leggi modificano la disciplina precedente. Dunque si fa il caso che una legge è in relazione alla fonte uguale a se stessa. L’abrogazione può avvenire quando la legge successiva prevede una clausola di abrogazione espressa: la legge successiva prevede espressamente l’abrogazione di una legge anteriore. L’art.15 delle preleggi stabilisce che l’abrogazione può avvenire anche in altri modi poiché la legge posteriore regolamento diversamente una determinata materia in modo incompatibile con la disciplina precedente si ha abrogazione per incompatibilità. La volontà del legislatore è quella di novare rispetto alla precedente disciplina quando viene fatta ex novo, poiché mentre l’abrogazione espressa viene ricavata direttamente dalla volontà del legislatore con efficacia erga omnes e ciò avviene soprattutto mediante le norme finale nelle ultime disposizioni della legge, l’abrogazione tacita è accompagnata da un’attività di interpretazione con le verifiche di incompatibilità, difformità etc ed è un compito del giudice, di colui chiamato ad applicare la legge. Siamo di fronte ad un’applicazione della legge così come la legge vada intesa ed è limitata al singolo caso, quello deciso con importanti motivi di dubbio in molti casi. Se l’ordinamento giuridico costasse soltanto di una fonte tutti i problemi relativi alle antinomie si risolverebbe attraverso l’applicazione della legge più recente e tutto si risolverebbe in abrogazione tacita od espressa. Vengono qui in gioco dei temi d’approfondimento in tema di fonti che vanno tenuti presenti: nel linguaggio comune non si può pretendere una conoscenza del diritto particolare, infatti si utilizza indistintamente e indiscriminatamente due termini: disposizione e norma. Dal punto di vista giuridico (costituzionale) disposizione e norma sono due termini differenti, con due significanti diversi e la distinzione si fonda sul criterio che la norma è il contenuto della disposizione: la disposizione è l’involucro e la norma è il contenuto normativo e mediante l’attività ermeneutica si ricava l’oggetto e può non trovarsi fra esse corrispondenza in quanto da una disposizione si può ricavare più di una norma e da più disposizione può ricavarsi una sola norma, ed è l’attività interpretativa che ci fa distillare la norma dalle disposizioni. E’ UNA DISTINZIONE MOLTO UTILE QUANDO SI STUDIA LA CORTE COSTITUZIONALE, la quale può dichiarare anticostituzionale una norma tenendo comunque in piedi la disposizione. La corte potrebbe limitarsi a conservare il testo limitando la possibilità di ricavarne norme legittime. L’interpretazione è il processo mentale di estrapolazione e decantazione. Il diritto non è una scienza esatta in quanto le leggi possono essere interpretate ed opinate; ricostruzioni diverse sorrette da rigore logico sono comunque possibili e l’interesse sta qui per la nostra scienza: argomentazione, interpretazione, logica giuridica, ragionamento, applicazione.
Quando si dice interpretazione bisogna pensare al procedimento mentale (da letterale fino all’art. 12 preleggi), bisogna pensare all’analogia. L’ordinamento giuridico è per sua natura un ordinamento completo e l’analogia non può essere indiscriminatamente adottata: è necessaria una lacuna altrimenti non può essere utilizzata (v. norma penale); l’analogia non può essere estesa in maniera indifferenziata. Non si può irrogare una sanzione per un comportamento riconducibile al comportamento sanzionato (per analogia), è illegittimo! Il criterio cronologico è quel criterio che comporta la prevalenza della norma più recente rispetto alla norma precedente con incompatibilità (tacita od espressa). Il criterio della cronologia non ha validità in temi ed ambiti differenti; l’abrogazione avviene in ambiti normativi medesimi. Se c’è un regolamento successivo conforme alla legge che attua ed interviene in una materia disciplinata dalla legge per dare materiale applicazione, il regolamento di questa natura è basato su uno schema gerarchico più cangiante. Anche nel sistema delle fonti si sta perdendo terreno in quando la supremazia della legge decresce rispetto al passato; nel sistema attuale si è avuto un forte cambiamento. La organizzazione del sistema costituzionale è cambiato relativamente alla materia delle autonomie (Università, Accademie, Istituzioni di alta cultura), poiché vi sono stati provvedimenti profondamente accentratori con programmi omogenei per avere un valore univoco e legale del titolo; L’autonomismo regionale è stato anche modificato. Il sistema delle fonti funziona come una scacchiera: ogni fonte ha la sua casella e ogni pedina ha un potere più o meno forte; ciascun pezzo è guidato dai propri principi ordinatori e quindi è possibile che un certo pezzo non può inglobare l’altro pezzo perché non glielo è permesso. Il problema è innanzitutto di competenza, e poi di materia e non di cronologia e gerarchia. Se fosse gerarchia ci sarebbe illegittimità, nullità: ciò che è nullo non produce alcun effetto. L’illegittimità è una vita malata di un regolamento (invalidità); quando sorge il problema sulla validità si contesta la legittimità di un regolamento chiedendo l’annullamento dell’atto. La compatibilità tra norma secondaria e primaria si gioca sul piano della validità, legittimità, etc. Si verifica la conformità della legge alla costituzione, e l’eventuale contrasto comporta l’anticostituzionalità della legge; il contrasto tra legge e regolamento comporta la illegittimità del regolamento, e così via. Non si esauriscono comunque tutti i criteri in quanto vi sono altre fonti con altri piani, altre dimensioni: graduatorie separate da non collocare nello stesso sistema parlando di leggi statali, regionali, provinciali, comunali, universitari, accademici, istituzionali, camerali, governativi, etc.

Legge di delegazione

L’ultimo comma dell’articolo 72 parla di una riserva d’assemblea: taluni disegni di legge richiedono il procedimento normale creazione. L’art. 72 prevede che queste leggi siano approvate con una legge in senso formale: solo una legge può legittimare una legge. La delegazione legislativa comporta una presa di posizione in ordine alla disciplina la quale viene delegata alò governo, e quindi la delega al governo non può che avvenire con legge. Non può il governo auto delegarsi, e gli atti con forza di legge hanno un’efficacia pari a quella della legge. Gli artt. 76, 77, 77 trattano delle disposizioni con forza di legge ma non sono i soli, in quanto vi sono altri atti (v. referendum abrogativo) con forza di legge disciplinati da altri articoli costituzionali. L’art. 76 disciplina l’esercizio della funzione legislativa il quale può essere delegato all’organo collegiale del governo (Consiglio dei Ministri); si trasferisce non la potestà ma l’esercizio della competenza a disciplinare taluni oggetti indicati dalla legge di delegazione, legge che deve essere approvata attraverso il procedimento ordinario. La legge di delegazione deve avere un contenuto necessario, in quanto il costituente ha ritenuto che il legislatore potesse disciplinare taluni oggetti e dei quali disporne con delega. Le deleghe in bianco nel nostro ordinamento non sono ammesse, e sono in bianco quelle relative ad argomenti generali (università, agricoltura, salute, etc.); necessita l’oggetto determinato. La separazione dei poteri è un valore del principio democratico da conservare; la deroga questo principio passa per limiti puntuali previsti per il governo. I principi ed i criteri direttivi sono direttive di disciplina che il governo deve rispettare, i principi ed i criteri direttivi della legge sulla materia. Il tempo deve essere determinato, non ci si può spogliare definitivamente sulla disciplina di una materia, il parlamento non può alienare una materia senza determinazione di tempo. La delegazione deve essere precisa e puntuale in ogni suo aspetto. I decreti legislativi sono adottati dal governo ed emanati dal P.R. con la denominazione dal 1988 d.lgs (e non più d.P.R.), poiché è necessario non creare confusioni. La legge di delegazione potrebbe in astratto prevedersi che il governo debba periodicamente sentire commissioni parlamentari in sede consultivo, e l’art. 14 della legge dell’88 prevede che è obbligatorio quando il tempo di delegazione supera i due anni sentire le commissioni parlamentari in quanto organi del delegante (Parlamento). Si pone la questione del computo del tempo: questo problema venne dibattuto e poi risolto dalla prassi; tra le tesi si sosteneva la delibera del consiglio dei ministri, ma senza proseguo in quanto non funzionante. La promulgazione prevede un controllo costituzionale sul contenuto dell’atto da parte del P.R., e si pone il problema della determinazione del termine di scadenza. Le deliberazioni del C.d.M. non avvengono in maniera palese, e le sedute avvengono a porte chiuse (a palazzo Chigi), non vi è la stessa pubblicità del governo. Deve essere l’emanazione il momento che segna il momento di fine, e deve avvenire prima del termine di scadenza. L’adozione coincide con la delegazione e l’emanazione è l’atto del P.R. il quale attua i controlli costituzionali. Il capo dello stato rinvia al governo il testo del provvedimento legislativo affinché si migliorino i punti difformi dalla costituzione. Napolitano ha precisato che il P.R. non fa politica. La prassi conosce alcuni procedimenti molto più complessi in quanto la delega può riferirsi ad una pluralità di oggetti distinti e la stessa Costituzione ammette che il decreto possa disciplinare più oggetti (esigenti disciplina separata); il Governo può intervenire con una moltitudine di disciplina sempre all’interno dello stesso decreto legislativo. Se il termine supera i due il governo è tenuto a chiedere il parere delle camere sullo schema della legge delega. Il parere è dato dalle commissioni competenti e permanenti entro sessanta giorni; il dialogo con le commissioni fa risaltare ciò che è indesiderato dal parlamento, ed una volta esaminato il parere si comunica al governo. Esistono dei particolari decreti (correttivi o integrativi) che intervengono successivamente al decreto potendo intervenire ritornando sulla materia correggendola. Questa ha efficacia ex nunc e non retroattiva, ma qui si pone una questione di grandissimo rilievo: l’art. 76 pone tutta una serie di condizioni e di limiti, e se il governo non li rispetta disciplinando altro oggetto, o utilizzando termini differenti, non rispettando il contenuto della delegazione, allora il decreto è anticostituzionale anche se si tratta di legge ordinaria (la legge di delegazione). La violazione della legge di delegazione da parte del decreto legislativa comporta anticostituzionalità in quanto si realizza il fenomeno della norma interposta, cioè si tratta di una interposizione tra l’art. 76 e la legge di delegazione in quanto integra il parametro di legittimità costituzionale. Se la legge fissa due anni di tempo ed il decreto lgs si ha a due anni ed un giorno si ha inosservanza della legge di delegazione e quindi si ha incostituzionalità. Anche se il decreto legislativo viene emanato dal capo dello stato, lo può fare oltre i due anni, ma il governo deve decretare entro il termine di scadenza. Nel caso di violazione direttiva invece bisogna rinviare alle camere. Una volta amnistia ed indulto venivano concessa con legge di delegazione delle camere (è il governo che determina il contenuto). Oggi l’amnistia e l’indulto devono essere ammesse sono mediante legge. L’art. 79 risulta modificato dal ’92 e la Costituzione viene modificata sul procedimento della concessione dell’amnistia e dell’indulto per sottrarre la disciplina al governo, in quando oggetto di propaganda elettorale. Questo articolo ha previsto che l’esercizio dell’amnistia e l’indulto siano promosse con legge deliberata con maggioranza qualificata (2/3 + 1 = 66,6…% + 1) in ciascuna camera in ogni articolo e nella votazione finale (legge rinforzata). Il rafforzamento sta nel procedimento di approvazione nel casi in cui la Costituzione in deroga alla Costituzione stessa circa il procedimento di formazione della legge. Ci sono delle ragioni di salvaguardia e tutela delle minoranze. L’art. 78 relativo allo stato di guerra ed ai poteri necessari anche in relazione a questa disposizione si pongono problemi per demandazione al governo: le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari. Anche le missioni di pace comportino in qualche modo il coinvolgimenti in atti di guerra (vi è però incompatibilità con la Costituzione). La guerra difensiva è permessa dalla costituzione, ma non quella offensiva. Le camere non stabiliscono che la deliberazione avvenga con legge: può avvenire con atto bicamerale non legislativo conferendo al governo i poteri necessari. I decreti legge hanno la peculiarità di essere posti dal governo senza intervento delegante delle camere: il governo non può senza delegazione delle camere decretare leggi di forza ordinaria. La legge 100 del 1926 regolava l’istituto del decreto legge, ed era un istituto molto utilizzato nell’epoca statutaria. I costituenti quindi previdero che sono in casi straordinari il governo avrebbe potuto intervenire con decreti legge temendo i decreti catenaccio (volti a regimentare e stabilire determinati prezzi imposti). Fino a qualche tempo fa il decreto legge aveva la funzione di applicare le volontà del proprio programma politico del governo con intenzioni ordinarie. Lo stesso giorno dell’emanazione del decreto legge il governo deve presentare alle camere (anche se sciolte) un disegno di legge di conversione che entro 5 giorni si riuniscono per deliberare. Se la legge chiamata a convertire la legge svolgeva tale funzione, allora “nulla questio” si tratta di un problema politico. La Corte Costituzionale è intervenuta interpretando l’art. 77.

Referendum

Il nostro paese ha scelto il referendum solo come mezzo abrogativo espresso, ed in teoria il referendum deve essere meramente abrogativo. Negli ultimi tempi il sistema referendario si è evoluto ed è divenuto uno strumento in grado di mettere nel sistema nuove norme, attraverso il sistema del ritaglio delle disposizione di far cambiare il significato normativo facendo distinguere la disposizione dalla norma. I referendum in materia elettorale viene congegnato dal costituente con scopo abrogativo, invece in Francia può avere anche fine approvativo. Nel nostro sistema sono previsti dagli artt. 132, 133 ulteriori referendum relativi alle modifiche territoriali; un altro referendum è quello relativo al procedimento di revisione della costituzione o nella formazione degli statuti delle regioni ordinarie. Questi procedimenti di consultazione possono essere richiesti solo se non si è raggiunta la maggioranza dei due terzi almeno nella seconda deliberazione in entrambe le camere. Il referendum indicato nell’art. 138 è l’espressione significativa ha funzione oppositiva. Questo referendum è atto a bloccare, fermare, una iniziativa. L’art. 138 non prevede alcun quorum destinato a rendere valido il referendum; mentre l’art. 75 prevede che per la validità occorra la maggioranza degli aventi diritto, invece nella disciplina dell’art. 138 non si prevede questo quorum in base alla natura del referendum costituzionale. Non si può esigere un quorum per il referendum costituzionale in quanto si avrebbe sempre esito abrogativo. La legge si considererà approvata qualora si avrà una maggioranza semplice, di coloro che si sono recati alle urne, la maggioranza dei voti validi. Un quorum costitutivo è previsto per i referendum abrogativi; la prassi più recenti ha registrato una disaffezione per il referendum abrogativo, in quanto il corpo elettorale è distratto dagli argomenti e dalla estrema tecnicità dei quesiti rendendo difficili le scelte. Nel 1970 il Parlamento emana la legge 352 del 20 Maggio 1970 che entra in vigore. L’esperienza più recente porta la dottrina ad un ripensamento sul referendum abrogativo; molti sono i contributi dottrinali che incitano a rivedere l’istituto del referendum modificando l’art. 75 della costituzione facendo leva sulla clausola secondo cui il referendum non è valido se non partecipa la maggioranza del corpo elettorale attivo. L’art. 75 prevede al primo comma è indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione totale o parziale di una legge o di un atto avente valore di legge. Il procedimento referendario non si esaurisce in poche battute in quanto scandito da una serie di scadenze, raccolta di firme, intervento di organi di controllo, etc. Dunque questo referendum non potrebbe riguardare il decreto legge, per la sua lievità, ma nel concreto può avvenire. E’ indetto un referendum quando lo richiedano 500.000 elettori o 5 Consigli regionali. Possono esservi delle leggi che fanno male all’autonomia regionale a tal punto da suscitare ai consigli regionali la volontà di esprimersi mediante referendum. La legislazione regionale ha preso quota su tematiche di più ampio respiro ultimamente. Non è ammesso il referendum per alcune leggi le quali dal costituente sono state sottratte al popolo, rimanendo nelle mani degli organi rappresentativi: le leggi tributarie e di bilancio. Le leggi tributarie e di bilancio sono meramente formali e non possono essere introdotti nuovi tributi e nuove spese: non hanno un contenuto materiale. Non sono inoltre abrogabili per referendum popolare leggi di amnistia e di indulto, e le leggi di ratifica dei trattati internazionali. L’elencazione dell’art. 75 comma 2 è tassativa, e come tutte le norme eccezionali è insuscettibile di analogia e quindi il limite non può essere esteso ad altre leggi diverse da quelle elencate dall’art. 75. Eppure la Corte Costituzionale è intervenuta diverse volte sulla materia maggiormente con una sentenza (sen. 6/1978): non si tratta di aggiungere ipotesi non contemplate, qui si tratta di interpretare la costituzione, ci sono dei limiti che vengono direttamente dalla costituzioni ed ordini di valore costituzionale da tutelare escludendo i relativi referendum, e la corte ha specificato quattro ragioni di inammissibilità:
1) sono inammissibili le richieste al corpo elettorale formulate con una pluralità di domande eterogenee; l’elettore deve essere libero di abrogare la norma A, ma non deve essere costretto ad abrogare le norme A, B, C, quando vuole abrogare solo la legge A.
2) sono inammissibili quelle richieste che non riguardano atti aventi forza di legge; le leggi costituzionali e le leggi rinforzate non possono essere abrogate con referendum popolare (il popolo può opporsi con referendum solo agli atti con forza di legge).
Il costituente ha previsto talune leggi non sottoponibili a referendum; e l’interpretazione è riuscita ad estrapolare nuovi elementi da sottrarre al referendum. Il secondo gruppo di questioni sottratte al referendum sono correlate a modifiche della costituzione stessa. Il referendum non è costitutivo ma oppositivo (abrogativo), e non è possibile che il popolo si appropri della potestà di costituire disposizioni di rango costituzionale. Le disposizioni di legge ordinaria che contengono un vincolo costituzionale non sono sottoponibili a referendum, in quanto l’abrogazione comporta la lesione di un intero istituto o di una intera disciplina. Le altre cause di inammissibilità si possono ricavare dall’art. 75 interpretando estensivamente queste disposizioni, come ad es. la legge finanziaria (benché non di bilancio). Le cause di inammissibilità rispondono a particolari scelte della disposizione costituzionale. La corte costituzionale in base alla legge costituzionale 1/1953 ha competenza anche in materia di referendum: se si tiene un referendum questo passa da una disposizione della corte competenza attribuita non in modalità costituente ma per motivi successivi; tale legge ha attribuito alla corte la possibilità a sindacare il referendum abrogativo, in quanto deve verificare se l’oggetto sia presente fra quelli dell’art. 75. Nell’ambito referendario si inserisce un altro organo: l’ufficio centrale del referendum che ha sede nel palazzo di piazza Cavour dove c’è l’ufficio della corte di cassazione. L’ufficio centrale per il referendum è un organo composto dai vari presidenti della corte di cassazione che controlla la regolarità formale del referendum, verificando se la richiesta ha i prerequisiti meramente formali necessari affinché possa aversi il referendum. Il terzo comma dell’art. 75 dice che hanno diritto a partecipare al referendum quei cittadini legittimati a votare per la camera dei deputati. Il quorum strutturale per la validità del referendum prevede la maggioranza degli aventi diritto e l’esito si ha con la maggiorana dei votanti. Il compito dell’ufficio centrale per il referendum è quello di verificare la richiesta formale di referendum (5 consigli regionali o 500.000 elettori). La legge 352/1970 stabilisce che non può essere depositata richiesta di referendum nell’anno anteriore alla scadenza delle due camere e nei sei mesi successivi alla convocazione dei comizi per la votazione delle due camere. L’oggetto della richiesta referendaria potrebbe diventare la materia oggetto di dibattito in campagna elettorale e far si che le camere intervengano direttamente abrogando essa stessa la legge, diventando quel motivo di abrogazione un motivo di campagna elettorale. La legge ha voluto salvaguardare la funzione rappresentativa e non creare elementi di disturbo. L’art. 32 della legge citata prevede che le firme devono essere depositate entro e non oltre il 30 Settembre, affinché sia possibile verificare la validità ad opera dell’ufficio centrale. Non bisogna confondere la funzione dell’ufficio centrale per il referendum con la posizione della corte costituzionale con la relativa funzione. L’ordinanza deve essere presentata a quel comitato che si da carico di proporre quel referendum che è destinatario della notifica. L’ufficio centrale compie un lavoro più complesso: entro il 15 Dicembre l’ufficio centrale deve provvedere alla verifica della conformità dei caratteri. Il presidente della corte costituzionale fissa il giorno in cui avverrà in camera di consiglio la deliberazione della corte comunque non oltre il 20 Gennaio dell’anno successivo a quello in cui l’ordinanza è stata emanata. La sentenza con la quale la corte decide deve essere pubblicata nella Gazzetta Ufficiale entro il 10 Febbraio indicando quali richieste ammesse e respinte. Bisogna dare comunicazione al P.R., ai presidenti delle camere, al P.C.d.M., etc. Il referendum si potrà svolgere in una Domenica compresa tra il 15 Aprile ed il 15 Giugno. Poiché il referendum si compie in un anno e mezzo nel caso in cui le camere debbano sciogliersi anticipatamente allora il referendum già indetto si sospende per elezione delle nuove camere. Il referendum riparte a 365 giorni dalle nuove elezioni delle camere (dopo 1 anno). L’ufficio centrale dopo la pubblicazione procede con pubblica adunanza per l’esecuzione materiale dei calcoli da esperti designati dal presidente relativi alla maggioranza dei votanti, dei voti, e successivamente si proclamano i risultati. Seguono delle disposizioni nella legge 352/1970. L’art. 37 prevede che qualora il risultato sia favorevole è il P.R. che con un proprio decreto dichiara la validità dell’atto. E’ il capo dello stato che con proprio decreto dichiara le conseguenze del referendum (efficacia dichiarativa e non costitutiva). Il decreto viene pubblicato nella Gazzetta ufficiale inserito tra le leggi della repubblica. L’abrogazione ha effetto a decorrere dal giorno successivo della pubblicazione del decreto nella gazzetta ufficiale. Il P.R. nel decreto stesso se vi è una proposta del ministro interessato su delibera previa del consiglio dei ministri può ritardare di non oltre 60 giorni la messa in atto del risultato del referendum. Se vi è un esito negativo del copro elettorale nei confronti della proposta si crea una preclusione ad una nuova successiva questione sulla stessa materia prima di 5 anni. Il problema è stato quello di parificare l’ipotesi di bocciatura a seguito di regolare voto, alla evenienza che non si raggiunga il quorum per aversi validità del referendum. Nell’ipotesi in cui non si raggiunga il quorum costitutivo il voto non è valido pertanto non c’è nulla di preclusivo per nuova presentazione della medesima questione per via referendaria (legge ordinaria). L’art 39 prevede che se prima della data di svolgimento del referendum una legge abroga le norme sottoposte a referendum allora l’ufficio centrale per il referendum comunica che le votazioni non avranno più corso. Con la sen. 68/1978 la Corte Costituzionale ha sancito che se l’abrogazione degli atti venga accompagna da altra disciplina della stessa materia, senza modificare i principi ispiratore ne i singoli precetti, allora il referendum si avrà sulla nuova disciplina. Questa sentenza scrive una parte della disciplina legislativa in quanto si tratta di una sentenza di accoglimento additivo, aggiungendo un frammento di norma, eliminando il motivo di incostituzionalità della disposizione. L’ipotesi in cui va a segno il referendum non preclude la possibilità del parlamento di ritornare con referendum sulla materia; la preclusione avviene solo per risultato negativo (non per risultato nullo). Il referendum non in ogni caso blinda la materia.


Legge rinforzata - Regolamenti

Mediante decreto legge non è consentito costituire deleghe legislative al governo, in quanto si richiede una legge formale. Non si può intervenire come disciplina l’art. 77 per i decreti non convertiti. Non si può ripristinare disciplina dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. Soltanto la Costituzione può intervenire sulle disposizioni relativa alla propria efficacia. La legge 400/1988 dice ciò che è desumibile dalla disciplina costituzionale.
Ci sono delle fonti che prendono il nome di atipiche, rinforzate, non aderenti al tipo del quale possono essere ascritte: sono rinforzate nel procedimento. L’art. 79 dice che la disciplina dell’amnistia e dell’indulta deve essere approvata con legge votata a maggioranza qualificata e con votazione favorevole almeno la seconda volta. Una legge successiva che non è adottata con quel procedimento non può intervenire a modifica di una legge rinforzata. Il rafforzamento (atipicità) non risponde pienamente al tipo dell’art. 64 (maggioranza semplice, metà + 1 dei presenti). Ci sono delle ulteriori fonti che si distinguono in ordine dell’iniziativa in quanto riservata. Della legge di bilancio prevista nell’art 81 Cost. ne spetta l’iniziativa soltanto al governo. Solo il governo può innescare un processo deliberativo per la legge di bilancio. L’art. 75 Cost. contiene un’elencazione di leggi che non possono essere sottoposte a referendum abrogativo. Queste si collocano in una posizione particolarmente tutelata. L’art. 8 Cost. si riferisce ai rapporti che l’ordinamento italiano ha con le confessioni religiose diverse dalla religione cattolica: questi culti hanno la possibilità di darsi un regolamento proprio purché non contrarie al buon costume. Il Costituente ha previsto una disciplina del tutto speciale nei confronti della Chiesa Cattolica riconoscendole un proprio ordinamento indipendente e sovrano. I rapporti tra Chiesa e stato italiano sono regolati dai patti lateranensi nel 1929 come veri e propri patti internazionali. Nell’85 si prosegui alla modifica dei patti senza modificare la disciplina costituzionale. Ciò che è stato costituzionalizzato non sono le singole disposizioni concordatarie, ma anche gli accordi consensuali, e questo è il regime speciale per la chiesa cattolica. L’art. 8 attribuisce e riconosce che i vari culti religiosi la possibilità di costituire regolamentazioni autonome, e prevede all’ultimo comma che i rapporti sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. La legge sola non può disciplinare i rapporti tra Stato e confessioni diverse dalla Cattolica in quanto necessitano intese preliminari sulla base delle quali la legge interviene. E’ rinforzata l’iniziativa legislativa da parte del governo sulla base delle intese, e non può essere modificata o abrogata attraverso una legge successiva che non faccia riferimento ad ulteriori e successive intese. L’intesa è recepita dalla legge e ne costituisce il sostrato, il contenuto. Una legge successiva non preceduta da intese non ha valore in quanto è priva del prerequisito indispensabile. In un sistema a pluralità di fonte bisogna tener conto di quelle fonti che non corrispondono al tipo con conseguenze sulle leggi nel tempo che non possono essere modificate con referendum o devono essere approvate con un particolare procedimento.
Di potestà normativa è titolare anche il Governo nonostante titolare della funzione esecutiva. Il regolamento è invece un atto normativo di natura secondaria: le fonti del governo si collocano in posizione secondaria rispetto alla legge ed agli atti con forza di legge. L’espressione utilizzato per gli atti del governo “emanazione”, invece relativamente al P.R. si parla di “promulgazione”. L’efficacia giuridica consegue allo scadere del termine di vacatio sulla gazzetta. L’intervento del capo dello Stato si inserisce non più nella fase dell’approvazione. La posizione del capo dello Stato era in passato quella di capo dell’esecutivo; adesso è rimasta un’impronta di questo retaggio con la promulgazione. Non si stratta che di un riferimento soltanto di natura formale. Nella costituzione francese si ha un vero e proprio riparto di disciplina tra parlamento e governo, ed elenca tutta una serie di materie sottratte al potere legislativo. Lo stesso non si può dire nel sistema italiano, il regolamento acquista grado di legge secondaria. Nel vecchio ordinamento con la legge 100/1926 i regolamenti venivano costituiti con una forza maggiore e rafforzata. Con la riforma del titolo 5° la costituzione si è arricchita di varie disposizioni, ed in particolare di una che concerne la potestà regolamentare (sesto comma dell’articolo 117): La potestà regolamentare spetta al governo salvo delega ai consigli regionali. La potestà regolamentare segue fedelmente; i comuni, le province, le città metropolitane hanno potestà normativa relativa alla disciplina dell’organizzazione delle funzione attribuita a questi enti. Questo riferimento è importante poiché i regolamenti hanno un fondamento costituzionale e la costituzione è stata possibile sulla base della fiducia tra il parlamento ed il governo. Carattere della legge è quello di essere generale ed astratto, ma a volte può non essere in grado di permettere alla pubblica amministrazione di applicare questi regolamenti. Bisogna attendere più di 60 anni per aversi una regolamentazione precisa ed efficace, non ché idonea per i regolamenti con la legge 400/1988, della quale all’art. 17 prevede la formazione dei regolamenti ed in che modo questi possono distinguersi fra loro. Il consiglio di Stato deve intervenire con un parere per l’emanazione dei regolamenti. Questi regolamenti disciplinano l’esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, e per attuarli recando norme di principio escluso quelli di materia regionale. Nel caso in cui si tratta di leggi di principio statale necessita il regolamento statale approvato. La Corte Costituzionale si occupa solo di leggi primarie, non può accertare l’incostituzionalità dei regolamenti: i regolamenti sono illegittimi quando sono difformi dalle leggi primarie, ed ad esse fanno capo. Servono a disciplinare gli uffici pubblici dopo che sono stati costituiti da legge. Vi sono i regolamenti i delegificazione: delegificare significa che una disciplina coperta dalla legge venga disciplinata da un regolamento, come declassando una fonte. La legge che operala legificazione declassa la disciplina a rango regolamentare in modo tale che l’abrogazione per via dei regolamenti consegue all’entrata in vigore dei regolamenti per la semplice ragione che gli effetti abrogativi non sono da attribuire ad una forza del regolamento ma alla natura del regolamento stesso e non diventa atto con forza di legge, L’abrogazione della legge deve farsi riferire alla legge che provvede alla delegificazione: la legge ha autorizzato a prender il posto della disciplina vecchia e non deriva da una sui generis o da una rafforzata forma, ma non c’è nessuna deroga invece. La delegazione legislativa ha il suo fondamento normativo.

Conflitto normativa italiana e comunitaria

Un peso sempre maggiore nel nostro ordinamento hanno le fonti comunitarie. L’art. 11 della Costituzione costituisce il fondamento della partecipazione dell’Italia alla comunità europea. Il trattato che costituisce la comunità europea viene ratificato in Italia con la legge 1203/1957 rendendo esecutivo il trattato istitutivo della CEE. Il principio di non discriminazione funzione come un integratore dei diritti di un demos, di un popolo unico. Un cittadino italiano può richiedere in un altro stato europeo pari trattamento con quello dei cittadini. L’art. 11 Cost. fu scritto dai costituenti non per legittimare i trattati internazionali, ma si scrisse in vista dell’adesione dell’Italia all’ONU, all’organizzazione delle Nazioni Unite. L’Italia accetta le limitazioni di sovranità necessari in condizioni di parità con gli altri stati per la partecipazione del progetto comunitario. Le altre costituzioni non avevano una costituzione così lungimirante, ed hanno dovuto modificare la costituzione espressamente. Le fonti internazionali sono i trattati e le consuetudini: i trattati necessitano di una disciplina interna che li rende esecutivi, una ratifica nazionale. E’ una legge ordinaria che ratifica un trattato internazionale, o più trattati. Le fonti primarie sono quelle e sole previste nella costituzione. Soltanto all’inizio del terzo millennio si parla di comunità europea nella Costituzione (art. 117 Cost.). L’art. 10 ha un’altra funzione, in quanto è l’art. 11 che sorregge la disciplina dell’inserimento delle fonti di tipo primario internazionali con legge ordinaria: le limitazioni di sovranità sono consentite, e non c’è limitazione più forte di una normativa esterna che sovrasti la normativa esterna. La disciplina sul numero chiuso delle università è posta da esigenze di formazione professionale imposta dalla direttiva comunitaria. L’art. 11 costituisce la base del sistema della limitazione di sovranità. L’unione europea consta di due trattati previsti dal trattato di Lisbona, il quale tenta di compiere una razionalizzazione delle norme fondamentali: trattato sull’unione e trattato sul funzionamento con competenze enumerate sull’unione europea. Il sistema dell’unione europea è un sistema di competenze enumerate: l’unione non può decidere cosa fare, è vincolata ai trattati. La prevalenza del diritto comunitario al diritto interna costituisce una limitazione di sovranità giustificata dall’art. 11 della nostra Costituzione: si è accettato che norme dell’ordinamento esterno siano sovranazionali. Poiché la sovranità è un concetto politico è infrazionabile, o c’è o non c’è, quindi non esiste un ordinamento sovranazionale, non esiste una sovranità riconosciuta alla Comunità Europea. Sono le Costituzioni che proiettano le parti dell’ordinamento sovranazionali, quindi la sovranazionalità non nasce dalla comunità europea, ma nasce dal permesso delle Costituzioni. Sono le costituzioni a creare un ordinamento comunitario. I trattati hanno attribuito un potere normativo. Nel consiglio siedono i rappresentanti dei governi, e nel parlamento ci stanno i rappresentanti di tutto il popolo. Si sono create due camere nell’ordinamento europeo. Le fonti dell’ordinamento comunitario stabiliscono che la comunità può emanare norme giuridiche e sono o regolamenti comunitari, o norme direttive. Le decisioni sono indirizzate a destinatari precisi, i regolamenti invece sono generici e hanno efficacia diretta ed immediata senza ratifica, creano diritto immediatamente una volta che sono pubblicati nella gazzetta ufficiale. Le direttive sono invece indirizzate agli stati particolari, con particolari destinatari. La norma direttiva consiste in indirizzi rivolti agli stati ed i destinatari sono i cittadini degli stati. I regolamenti hanno un’efficacia nel nostro ordinamento in caso di non illegittimità con l’ordinamento italiano. In un primo tempo la corte costituzionale ha detto che in fondo trattandosi di norme primarie aventi efficacia pari a quella della legge avendo rapporto tra norme interne e norme esterne poteva risolversi attraverso il principio cronologico in quanto norme aventi medesima efficacia. Il regolamento successivo ha forza caducante e non abrogante, invece se la legge debba entrare in vigore successivamente sarebbe addirittura essa a caducare il regolamento. L’antinomia tra fonti si risolve con il criterio cronologico con l’effetto della caducazione. Il parlamento Italiano non può produrre norme che caduchino regolamenti internazionali o comunitari. Il diritto comunitario è un potere superiore al potere superiore di quello sovranazionale; le corti costituzionali cominciano a dare delle risposte. La nostra Corte Costituzionale cambia giurisprudenza ed a metà degli anni ottanta con la sentenza 170/1984 si cambia orientamento; in un primo tempo si ritiene possibile applicare il principio cronologico tra norme interne e norme esterne, ma poi pensa che la legge interna nazionale che in contrasto con il regolamento comunitario non viene a caducare la norma comunitaria e non è applicabile il principio cronologico, e la legge incompatibile si pone in contrato con la costituzione violando l’art. 11. La norma comunitaria è una norma interposta e va ad ingrossare quel catalogo di norme c.d. interposte. La violazione del regolamento fa scaturire la violazione dell’art. 11 della Costituzione, ed il risultato di questa interpretazione è un mezzo disastro in quanto la Corte Costituzionale si trova un enorme carico di lavoro perché il giudice spediva alla Corte carico e carico di lavoro. La svolta epocale sen. 170/1984: non si applica più il criterio cronologico, non si applica più il criterio della gerarchia, ma si applica il criterio della competenza, il criterio della specialità come criterio ordinatore delle fonti, prendendo piede l’orientamento dualista: ordinamento interno ed ordinamento comunitario; ma appena l’ordinamento comunitario pone in essere un regolamento, questo ha un efficacia diretta ed immediata così come nell’ordinamento interno ha immediata applicazione la legge ordinaria. L’operatore del diritto dovrà fare un’operazione molto semplice, preferire la normativa comunitaria alla normativa nazionale, e la normativa interna non si applica. La Pergola propone la legge La Pergola 86/1989 (comunitaria) sostituita dalla legge Buttiglione 15/2005, determina annualmente la pulizia delle leggi ordinarie. La Corte costituzionale ritiene che sia sbagliato il contrasto tra regolamento e legge ordinaria in quanto sia una forza che non corrisponde al nome, è una fonte atipica; la Corte torna sulla precedente giurisprudenza rivedendola, sul piano tecnico la questione di legittimità costituzionale è irrilevante perché nel giudizio il giudice non deve applicare la legge ma il regolamento. Questa è la trovata per la soluzione del contrasto tra norma interna e norma esterna: una volta si utilizzava il criterio cronologico, poi si utilizzava il criterio di sollevazione del dilemma, in fine la Corte decide che il giudice deve applicare il regolamento senza considerare neanche la legge interna incompatibile, dando esclusiva prevalenza al diritto comunitario.

Conflitto diritto comunitario-nazionale

La risoluzione di eventuale antinomie dei regolamenti comunitari con leggi interne si ha con la disapplicazione della normativa interna. Le direttiva a differenza dei regolamenti sono fonti dell’ordinamento comunitario non direttamente efficacia tendenzialmente, in quanto si rivolgono agli stati indicando agli stati obiettivi e finalità da raggiungere: si tratta di norme dirette agli stati non direttamente efficaci in quanto necessitano l’adozione di provvedimenti nazionale per la ratifica. Questa caratteristica è tendenziale in quanto vi sono direttive efficaci subito poiché regolamenti mascherati da direttive (self computing), sono passibili di applicazione al pari dei regolamenti. La direttiva possiede effetti molto simili ai regolamenti. L’antinomia di ciò che non ha effetti diretti con la fonte interna incompatibile è un contrasto che non si profila nell’immediato poiché vi è una direttiva con un principio da raggiungere ed una legge interna incompatibile con l’obiettivo da raggiungere. Il giudice può disapplicare la legge per far prevalere il regolamento comunitario, ma nel caso di direttiva non può il giudice dare applicazione a questa disapplicando la legge ordinaria in quanto necessita l’intervento del legislatore in conformità della direttiva. La direttiva non si pone sul piatto della bilancia con la direttiva interna: la soluzione consta nel ricorrere alla Corte Costituzionale che giudicherà la sorte della legge interna nei confronti della direttiva: può dichiarare incostituzionale la legge ordinaria e dichiarare la direttiva norma interposta in asserendo l’inosservanza dell’art. 11. Il trattamento della legge interna deve passare attraverso il vaglio della Corte Costituzionale. La direttiva non deve essere auto applicativa per aversi l’accesso alla Corte Costituzionale. Nel caso in cui una legge regionale contrasti con un regolamento comunitario, la Corte ha disposto che venga dichiarata incostituzionale: è possibile che il sindacato sia applicato su un caso concreto della legge (giudizio in via incidentale); oppure può avvenire dall’impugnazione diretta da parte di Stato o Regioni di leggi regionali o statali in caso di interferenza di competenze. Se una legge regionale è in contrasto con gli obblighi comunitari lo Stato può impugnare la legge regionale. Il giudice potrebbe disapplicare ma solo quando una controversia investa la giurisdizione, ma in questo caso si sia non in fase di applicazione (incidentale) ma in impugnazione (diretta). In base all’art. 127 anche la Regione può impugnare una legge dello Stato, ma avviene quando vi sia un contrasto da inglobare pure direttive o norme di competenza internazionale (violato l’art. 11). La legge 11 del 2005 detta la posizione ed i doveri dell’Italia nella Comunità Europea (legge Buttiglione); questa disciplina due fasi del diritto comunitario: fase ascendente (formazione delle norme comunitarie, legittimate dalle costituzioni e dai parlamenti delle nazioni) e fase discendente. Con il trattato di Roma del 2004 si era costituito nel lessico una “legge comunitaria” come legge dell’ordinamento europeo; ma nei fatti non è stata ratificata questa modifica in quanto Olanda e Francia si sono opposte. Con “legge comunitaria” si indica la legge nazionale di ratifica di norma comunitaria. La nostra stessa Costituzione ammette e rinvia a legge di procedura (legge Buttiglione) l’applicazione di regolamenti comunitari, e la pulizia di leggi ordinarie. La legge comunitaria è tale solo per l’oggetto, ma nazionale ordinaria, non comunitaria europea in senso stretto. L’art. 120 § 2 modificato dalla legge Cost N° 3 del 2001 prevede che il Governo può sostituirsi ad organi di enti territoriali minori in caso di non conformità delle norme di questi con i regolamenti e le norme comunitarie. nella fase ascendente (formazione) partecipano le regioni con un apposito organismo che è la conferenza delle regioni raccogliendone i rappresentanti. Attraverso questo organo si raggiunge un’intesa che il nostro governo dichiarerà in sede comunitaria. E’ rilevante la cosiddetta riserva di esame parlamentare prevista nell’art. 4 della legge 11/2005: Il governo può procedere con gli atti di propria competenza solo alla fine di tale esame, deve essere in primo luogo il parlamento a definire l’indirizzo, decorso un termine pone la riserva di esame parlamentare. Se l’oggetto comunitario è in fase di dibattito il governo può sospendere l’esame ponendo una riserva di esame parlamentare; vi è un potere di arresto in sede comunitaria nella formazione della norma. Al fine di rispettare la sovranità popolare per la formazione di atti che costituiscono un limite alla sovranità popolare, il governo può devolvere l’esame di quell’atto alla sede parlamentare il Ministro comunica alle camere di aver apposto questa riserva e decorsi 20 giorni il governo può procedere anche con una rinuncia parlamentare a prendere decisione in sede d’esame del consiglio europeo. L’ordinamento internazionale consta di due fonti: principi consuetudinari e trattati. L’adattamento alle consuetudini è automatico. L’ordinamento Italiano si conferma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute. L’adattamento è automatico, non c’è bisogno di nessuna disposizione interna per avere tali effetti. Una norma generalmente riconosciuta è quella secondo cui gli agenti riconosciuti accreditati in Italia non sono sottoposti alla giurisdizione italiana. Ovvia è la garanzia che se fossero sottoposti allora in taluni casi si potrebbe realizzare l’effetto di frustrare il compito diplomatico di questi soggetti. La non soggezione di questi agenti è una norma riconosciuta dal diritto internazionale. C’è una tesi isolata che dice che vi è la norma pacta sunt servanda (la norma che vincola a rispettare gli accordi da rispettare sottoscritti) in quanto consuetudine automaticamente il nostro ordinamento si conforma ai trattati internazionali: per via di questa norma generalmente riconosciuta rientra nell’adattatore automatico: per via dell’art. 10 tutte le consuetudine sono da ritenersi introitate nell’ordinamento giuridico italiano senza legge comunitaria. Questa tesi (Quadri) è stata criticata e smentita dalla dottrina maggioritaria e puntualmente dalla Corte Costituzionale. L’ordinamento interno si conforma ai trattati internazionali con il procedimento che può constare di modalità diverse: può adeguarsi attraverso un procedimento ordinario con una legge interna che recepisce le norme internazionali e le ratifica nazionalmente perché queste norme penetrino nell’ordinamento interno recependone il contenuto; l’adattamento speciale si realizza attraverso un ordine di esecuzione secondo cui piena ed intera esecuzione venga dato all’ordinamento interno del trattato che si allega. Così le norme pattizie vengono nazionalizzate e si realizza il trattato all’interno dell’ordinamento. Attraverso questa legge (autorizzazione alla ratifica) il parlamento può disporre in ordine della stessa legge. Vi sono poi gli accordi in forma semplificata che il governo può concludere senza ratifica dello capo dello stato in quanto sono i plenipotenziari che sottoscrivono il trattato.

Pluralismo identitario

Un problema formidabile del costituzionalismo sono vedere le forme di coesistenza pacifica nella società. Le emigrazioni sono un fenomeno che nella storia hanno sempre avuto luogo con modi e tempi diversi, e soprattutto motivi e scopi. Rispetto al secolo scorso in cui i problemi erano diversi, oggi i problemi maggiori stanno nel trovare le forme di coesione tra società ed identità diverse. I conflitti culturali sono quelli che riescono a dividere più delle diversità ideologiche. L’identità può essere collegata a diversi fattori, ed ogni identità è definibile in base ad una diversità. Il pluralismo identitario è nato sulla dicotonia cittadino/straniero. Il migrante di oggi è come lo straniero del passato; partecipa alla vita di una comunità. Ci sono forme molto embrionali di partecipazione politica. Il multiculturalismo è un termine utilizzato negli anni ’50 per la costituzione elvetica, poi nell’82 in Canada, e negli anni ’90. Un primo passaggio fondamentale è l’uguale riconoscimento di tutte le identità multiculturali. Esistono due principi fondamentali sui quali può innestarsi il dibattito pubblico: uguaglianza dignitaria, capacità di individuare un obbiettivo e perseguirlo. Una prospettiva può essere quella della separazione che è una scelta asimmetrica perché il paese ospitante ha soggetti che sono avvantaggiati sotto i profili economici e sociali; ma anche la prospettiva dell’integrazione è compresa. Queste diversità chiedono la tutela di rimanere quello che sono e di non essere integrate. C’è chi propone l’interazione delle identità. La prospettiva interessante è quella dell’interculturalità (se ognuno comprende le ragioni dei comportamenti delle altre identità sarà capace di un miglior riconoscimento delle ragioni dell’altro). Fattori esogeni ed endogeni hanno messo in discussione le parti dello Stato moderno. Aldilà delle considerazioni negative di scissione tra stato e nazione, si pensa alle ragioni storiche della cittadinanza nella costruzione dello stato moderno: quelle concezioni non sono più in grado di rispondere alle nuove esigenze. Da quando è stata riconosciuta la cittadinanza europea una prima erosione della cittadinanza si è avuta. La cittadinanza europea non ha costituito un volano ma ha creato un ulteriore distinzione tra cittadini stranieri ma comunitari e stranieri non comunitari. Dallo stato liberale a democratico pluralista si è avuto con la modifica degli esercizi politici. Il rapporto orizzontale che si crea tra i soggetti di una comunità può prescindere dal rapporto verticale tra cittadini e stato. La Costituzione riconosce alcuni diritti ai soli cittadini e poi vi è un gruppo di diritti riconosciuti agli stranieri, ma bisogna avere un’interpretazione diversa dell’art. 10. La riserva che la costituzione pone rimanda al modello di cittadinanza; il panorama dottrinale è assai variegato. L’art. 48 riconosce una tutela al cittadino che non riconosce allo straniero. All’art. 52 si prescinde dalla cittadinanza rivolgendosi agli italiani non appartenenti alla Repubblica. L’art. 51 § 2 si tratta di soggetti che vogliono un riconoscimento per la loro cultura diversa dalla nostra. L’art.48 § 3 consente il diritto di voto dell’italiani all’estero. Il voto agli immigrati sono riconosciuti in Europa (nord) da parecchio tempo, in Italia si è discusso a lungo. Nessuno ha mai dubitato di queste forme di partecipazione politica con il panorama costituzionale. La convenzione del consiglio d’Europa votata nel 92 ha visto l’adesione di parecchi stati ma non in toto in quanto la parte C non è stata ratificata (dare la possibilità elettiva agli stranieri). Il comune di Forlì prevedeva di far votare ai cittadini stabilmente residente per i consigli circoscrizionali ed altri organi. Queste disposizione sono state sfiduciate. Il consiglio di Stato aderisce all’impostazione dell’ente e del comune facendo rientrare nella popolazione anche gli stranieri senza cittadinanza. Questi consigli circoscrizionali non sono organi che svolgano funzioni d’indirizzo politico, ma amministrativo. Oggi uno statuto comunale o regionale possa inserire un regolamento per far aderire il diritto di voto agli stranieri in quanto necessità una legge di stato per una esigenza di conformità con la legge costituzionale. Tutte queste disposizioni sono inserite nei preamboli e che la stessa corte costituzione la con la sentenza del 2004 aventi non valore giuridico ed hanno lo scopo solo promozionale. Il legame tra cittadinanza e popolazione ha uno scarto in cui si può computare la qualità democratica. La gestione dello scarto fa comprendere la qualità di democrazia. Molti anni fa in un libro che s’intitolava la democrazia alla fine del secolo di Luciani fra le molte questioni si annoverava il problema dello sviluppo democratico e delle identità nazionale: la comunità politica è fondata sul lealismo e sul solidarismo civico. L’elemento coagulante di un paese è auspicabile che rimanga dal confronto con le altre identità culturale ed il dialogo per essere arricchente deve essere alla pari. Se è vero che la nazione si costruisce giorno per giorno allora essere cittadino non può prescindere da certi elementi e non può dipendere da criteri solo formali. Oggi la sfida si gioca proprio sullo scarto tra democrazia e nazione. L’art.48 dice che la tutela costituzionale è al cittadino, e con la legge ordinaria può tutelare lo straniero.